Canzoni per bambini, Rovazzi li fa “volare”

Ha ragione Daniel Pennac quando sostiene che “i bambini sono degli enigmi luminosi”. Basta fare un piccolo bilancio sull’evoluzione dei loro gusti musicali per capire quanto siano enigmatici.

I bambini di oggi hanno un linguaggio pieno di termini tecnologici, non sanno allacciarsi le scarpe ma per loro lo smatphone non ha segreti, perciò canzoncine come il “Valzer del moscerino” sembrano essere superate, sia per il testo che per la melodia.
Basta fare una passeggiata sulla battigia di una qualsiasi spiaggia italiana per sentire che i bambini non intonano più canzoni come “Noi puffi siamo così…”; mentre giocano con la palla o costruiscono i loro castelli di sabbia li senti ripetere “Mi fa volare…”.
Può non sembrare una novità perché la canzone della strana coppia è il tormentone dell’estate, ma la vera news è che piace anche ai bambini. Tutti pazzi per Rovazzi.

Tutto ebbe inizio in “tangenziale”

Bisogna prenderne atto. Fabio Rovazzi ha sostituito Cristina D’Avena.
Già durante l’estate 2016 anche i più piccolini bofonchiare “andiamo a comandare” stringendo nel pugno il loro trattore di plastica.

Poi è stata la volta di “Tutto molto interessante”, per arrivare alla recente “Volare” cantata con Gianni Morandi.
Qual’è l’arma vincente di Rovazzi? Nessuno dopo “Sei forte papà” era riuscito a far cantare ai bambini una canzone di Morandi.
Secondo uno studio dello psicologo dell’infanzia, Casper Addyman, i bambini amano una melodia ripetitiva e molto ritimica che, in qualche modo, assecondi il battito cardiaco.

La musica di Rovazzi ha sicuramente queste caratteristiche. Inoltre, i bambini come abbiamo già osservato usano tablet e smatphone perciò hanno la possibilità di vedere i video su youtube. Un altro punto a favore per Rovazzi: i suoi video sono dei cartoni animati viventi che rendono surreali le cose di tutti i giorni.

Che direi dei testi? Sembrano filastrocche, con rime baciate che rendono semplice la memorizzazione.
In qualche modo Rovazzi è il rapper dei bambini che piace alle mamme.
Non ha tatuaggi né fisico da palestrato, faccia pulita, quasi anonima e le sua canzoni non contengono volgarità ma, tra il serio e il faceto, trasmettono un messaggio positivo.

Non scandalizzi, dunque, che sia entrato nel cuore del pubblico degli under 10. E come recita il suo testo “Sto volando prego non mi disturbare / Il problema vero è come atterrare”.

Gabbati da Gabbani

Nel panorama dell’Italian songs, c’è chi marca stretto Rovazzi. Con o senza scimmia Francesco Gabbani piace ai bambini.
A Giungo 2017 non è stato così raro vedere negli spettacoli di chiusura delle Scuole dell’Infanzia i bambini ballare al ritmo di “Occidentali’s Karma”. In fondo gli ingredienti sono molto simili a quelli di Rovazzi: musica e testo orecchiabili, video che rendono speciale la normalità.

Così quest’estate chi non intona “Volare” – non quella di Modugno che bensì è intitolata “Nel blu dipinto di blu”– dondolandosi sull’altalena, canticchia “Tra granite e granate”. I bambini non avendo ancora raggiunto l’età in cui si diventa capaci di astrarre, non riescono a cogliere fino infondo il messaggio sociale che si nasconde tra i giochi di parole del testo, però è probabile che percepiscano la bontà di quei suoni che a loro risultano così facili da ripetere.

Il mondo è cambiato, è inevitabile che anche i bambini non abbiano gli stessi gusti di quelli di dieci anni fa. È sufficiente confrontare come sono cambiati i cartoni animati stessi. Il cambiamento, però non è sinonimo di “peggioramento”.
Anzi, questa svolta nella musica per bambini rispecchia la globalizzazione: canzoni che piacciono dai 0 ai 99 anni, un modo per far comunicar ele diverse generazioni tra loro.

Pensate, poi, che fortuna per i genitori che in auto non dovranno più sopportare le “Tagliatelle di nonna Pina”, ma si canterà tutti insieme “Di dove siete? / Com’è che state? / Ci state bene? / E-state”.
Poco male se Rovazzi e Gabbani sono i cantanti preferiti dei bambini, l’importante è che qualcuno continui a insegnare loro che “per fare un fiore ci vuole un seme” e non un pollice alzato di “mi piace” su Facebook.